Monaci Benedettini Silvestrini

San Silvestro in Montefano, Fabriano

1 giugno 1231. Gli abitanti di Fabriano Benedittolo e Vitale del fu Albertuccio, Rinaldo del fu Bernardo (con il consenso della figlia Maria), Atto del fu Pietro di Raino, Mancino del fu Guido e Ugolino del fu Morico di Ugolino, con quattro atti notarili distinti, donano a «fra Silvestro» sei staia di selva (circa mq. 2.640) sul Montefano intorno a Fonte Vembrici - una sorgente d'acqua tuttora esistente - per la costruzione di un eremo. La nuova fondazione monastica è patrocinata e favorita dal capitolo di S. Venanzo, chiesa matrice di Fabriano, cioè dalla massima autorità ecclesiastica cittadina: infatti ben quattro canonici (Cuzio, Pietro, Simone e Meliorato) risultano presenti, in qualità di testimoni, alla donazione e uno dei documenti è rogato «ante campanile Sancti Venantii». I canonici anche in seguito dimostrano amicizia e stima nei confronti di Silvestro, invitandolo «spessissimo» nella propria chiesa per «proporre al popolo la parola di Dio» (Vita Silvestri, cap. 27). Fra i testimoni è menzionato anche Atto, cappellano della chiesa rurale di S. Lucia, situata in quell'epoca sulla via che da Fabriano conduceva a Montefano e dipendeva dall'abbazia di S. Angelo infra Ostia presso Esanatoglia. Il titolo della cappella successivamente sarà trasferito in una nuova chiesa, edificata nel Borgo del Piano entro i confini della parrocchia di S. Venanzo.

Sul Montefano esisteva probabilmente un tempietto pagano, come la voce «fano» (dal latino fanum) lascia supporre, cioè un luogo dedicato al culto. L'ipotesi è avvalorata, fra l'altro, dal resto di trabeazione (sec. V-VI d.C.) incastonato in una parete dell'attuale «cripta S. Silvestro». Il monaco Andrea di Giacomo da Fabriano, cui si deve la Vita Silvestri - redatta tra il 1274 e il 1282, cioè poco dopo la morte dell'uomo di Dio, avvenuta il 26 novembre 1267 - accogliendo una tradizione a lui anteriore, afferma che il Montefano era tale «di nome e di fatto»: un rifugio di demoni, dove nessuno, benché in età matura, si avventurava da solo. Certamente sulla montagna si praticavano arti diaboliche e magiche, la cui origine si perde nelle epoche più remote: simili manifestazioni si rinvengono anche nello stesso tratto dell'Appennino, sui Sibillini. È certo, d'altronde, che nell'antica Attidium (oggi Attiggio), ai piedi di Montefano, si praticava il culto a Marte, come fanno fede le celebri «Tavole Eugubine», nelle quali sono indicati alcuni servizi cui erano tenuti i suoi auguri o sacerdoti (Fratres Attidiates); inoltre il culto a tale divinità nella zona è testimoniato da un'epigrafe rinvenuta nel 1952 nella base dell'altare della chiesa di S. Angelo di Collepaganello con iscrizione votiva a «Marte Augusto».

L'eremo, ultimato nel 1234, viene dedicato a S. Benedetto da Norcia; l'attuale titolo di «S. Silvestro» sostituirà il precedente a partire dalla seconda metà del Cinquecento. Da un disegno a penna del 1581, che riproduce Montefano come probabilmente era in origine, in quanto i primi ampliamenti di cui siamo a conoscenza risalgono al secolo XVII, l'edificio risulta ad un solo piano, il chiostro a tre lati, il campanile a vela. L'eremo, il cui superiore ha il titolo di «priore generale», diventa il centro di irradiazione e la Casa Madre della Congregazione Silvestrina, che ottiene il riconoscimento canonico dal pontefice Innocenzo IV il 27 giugno 1248 con la denominazione ufficiale di «Ordine di S. Benedetto di Montefano». La prima comunità dell'eremo incontra ben presto il favore e la stima della popolazione del territorio fabrianese per la vita di aspra penitenza che conduce: i seguaci di Silvestro, fra i quali merita di essere menzionato il maestro di grammatica Giovanni da Paterno, che sarà denominato «dal Bastone», in seguito beatificato, indossano una «veste ruvida» e a mensa non conoscono «varietà di vivande, né mangiano cibi gradevoli al palato», ma praticano un costante digiuno (Vita Silvestri, cap. 6).

Autorità comunali fabrianesi e privati cittadini, conquistati dalla santità di vita dei monaci di Montefano, che vivono del lavoro delle proprie mani e delle elemosine dei fedeli (questua), per tutto il secolo XIII gareggiano nel procurare loro mezzi di sussistenza sempre più cospicui. Nel 1235 Adam di Fiorentino, sindaco del comune di Fabriano, con il consenso del podestà Uguccione, dona a Silvestro oltre 90 staia di terra con selva (circa quattro ettari) intorno all'eremo, precedentemente acquistate, con atti di permuta, da vari proprietari: Aldobrandino di Enrico, Vitale e Atto di Benedittolo, Atto e Bentivoglio di Bonello, Michele di Masseo, Mancino di Rublo e dai Paganelli, che hanno dato il loro nome al villaggio sottostante. Montefano viene così a consolidare la propria posizione economica, mentre l'appoggio delle autorità civili in un periodo di sconvolgimenti politico-religiosi, connessi alla lotta tra papato e impero, assicura ai monaci la necessaria autonomia per il normale svolgimento della vita comunitaria. Il fatto che i notai di Fabriano negli anni successivi alla pace di San Germano del 1230 - nella quale Federico II si è impegnato a rinunciare alla Marca - nei loro protocolli nominino congiuntamente papa e imperatore, o addirittura soltanto quest'ultimo, è segno indubbio del non esclusivo dominio papale sul territorio fabrianese. L'imperatore, infatti, dichiarava apertamente di voler restituire Ancona all'autorità dell'impero.

La creazione di un nucleo silvestrino entro Fabriano ha inizio nel 1244 con la donazione a Silvestro, priore dell'eremo di Montefano, di quattro tavole (circa mq 176) di area edificabile nel Borgo Nuovo; la concessione, avvenuta, secondo l'atto notarile, per assicurarsi la protezione del Signore, in realtà rifletteva la politica di inurbamento perseguita in quegli anni dalle autorità comunali fabrianesi, politica che porta Fabriano ad un rapido accrescimento demografico e urbanistico. Su tale superficie viene costruito un piccolo cenobio, che secondo il fondatore doveva servire esclusivamente di appoggio per i monaci che da Montefano scendevano in città. Successivamente, tuttavia, attraverso contratti di compravendita e permuta, si aggiungono case e aree edificabili nel Borgo della Portella e nei quartieri del Poggio e di S. Venanzo: il complesso silvestrino si amplia fino alla piazza mercatale (oggi piazza Garibaldi), che era il centro delle attività artigianali e commerciali del comune, giungendo, come osserva la Saracco Previdi, «al cuore di Fabriano, presso le più importanti sedi del potere».

Nel 1264 due donne fabrianesi, Marsilia e la figlia Sorabona, beneficano, nel loro testamento, s. Silvestro, 63 suoi monaci e la chiesa di S. Benedetto in Montefano, lasciando in eredità denaro e terra coltivata a scotano.
Alla morte di Silvestro, avvenuta il 26 novembre 1267, la comunità di Montefano è composta di 21 monaci. Il corpo, dopo tre giorni di ininterrotto omaggio da parte di una folta schiera di fedeli, viene riposto in una cassa lignea, donata, secondo la tradizione, da un nobile cittadino fabrianese, e tuttora conservata nella chiesa dell'eremo sotto l'altare laterale di destra. Da un documento del 1270 ricaviamo che il comune di Fabriano ha affidato a due monaci di Montefano, Giacomo e Benincasa, la cura e l'amministrazione del denaro e delle attrezzature per la costruzione delle nuove mura cittadine.

Seguendo le indicazioni del secondo concilio di Lione del 1274, il priore di Montefano Bartolo da Cingoli e i suoi monaci decidono di abbandonare la pratica della questua e di vivere esclusivamente dei propri beni patrimoniali, secondo lo spirito della regola di S. Benedetto e il privilegio di conferma dell'Ordine. Ma poiché l'eremo ha pochi possedimenti e redditi insufficienti per il sostentamento della comunità, essi chiedono l'intervento del comune di Fabriano, che acquista mulini, case e terre in località Ponte del Gualdo (oggi Vetralla) alla periferia della città e ne concede l'uso e l'usufrutto al priore Bartolo. Il documento relativo viene rogato il 13 giugno 1275 nel palazzo del comune, alla presenza di quindici cittadini in qualità di testimoni. I monaci di Montefano successivamente installano in quel luogo delle cartiere, che gestiscono fino alla metà del secolo XVIII. Nel 1277 il consiglio generale del comune incarica i monaci di Montefano Andrea di Giacomo e Bartolo di Benvenuto di presentare ad Orso degli Orsini, nipote di papa Nicolò III, la nomina a podestà di Fabriano.

Negli anni successivi, in seguito al consolidamento della propria posizione economica, l'eremo si trova coinvolto in conflitti di interesse con il comune di Fabriano, con privati cittadini e con altre istituzioni religiose.
Nel 1288, ad esempio, Gerardo, pievano di Penna San Giovanni e sostituto del vicario generale del rettore della Marca d'Ancona, ordina al podestà e al consiglio di Fabriano, sotto pena di scomunica e di mille lire ravennati, di desistere dal molestare gli operai dei monaci che lavorano la terra di proprietà di Montefano, situata sul monte Linatro. 
Più grave è la controversia sorta nel settembre del 1292, allorché il comune fa eseguire alcuni scavi per allargare la piazza mercatale. Il lavoro di ampliamento provoca la caduta di alcune case appartenenti ai monaci. Solo la minaccia di interdetto di tutto il territorio fabrianese da parte della Sede Apostolica induce il podestà e il consiglio comunale a versare al priore di Montefano, il 4 maggio 1293, 600 lire ravennati e anconetane per i danni arrecati e 25 fiorini d'oro per il risarcimento delle spese del processo, celebrato presso il rettore della Marca e la Curia romana.
Nel 1294 Accurimbona di Giacomo, procuratore di Monaldo, vescovo di Civita Castellana, mette in guardia i monaci di Montefano dall'acquistare e occupare terre e beni spettanti al presule o ai frati minori. Ma due anni prima è stato il pontefice Nicolò IV a lanciare un «monitorio» contro gli ingiusti detentori e possessori dei beni di S. Benedetto di Montefano e contro coloro che recavano molestie e danni al monastero.

Montefano ha vita fiorente per tutto il secolo XIII e la prima metà del successivo, svolgendo un ruolo importante nella vita ecclesiastica e civile di Fabriano. Quando nel 1320 il comune viene colpito da interdetto per aver tenuto una posizione di neutralità nel conflitto tra la Chiesa e i comuni di Osimo e Recanati (la ribellione è guidata dai fratelli Lippaccio e Andrea Guzzolini, secondo la tradizione nipoti di Silvestro Guzzolini) è deputato un monaco di Montefano ad impetrare l'assoluzione generale dal rettore della Marca d'Ancona. Egli l'ottiene il 15 marzo 1322 dietro esborso di 78 fiorini d'oro. Nel 1323 il capitolo dei canonici di S. Venanzo si oppone decisamente all'erezione della parrocchia di S. Benedetto da parte di Berardo, vescovo di Camerino, perché «temeva grandemente» la potenza, il prestigio e l'influenza dei monaci di Montefano all'interno di Fabriano, che tra la fine del XIII e i primi del XIV secolo aveva raggiunto «strutture e forme che si avvicinavano al volto di una città», anche se tale non era, mancandole la sede vescovile.
Nel 1328 l'antipapa Nicolò V, eletto dall'imperatore Lodovico il Bavaro in opposizione al legittimo Giovanni XXII, eleva la ghibellina Fabriano a sede vescovile e depone il priore di Montefano Matteo da Esanatoglia per aver seguito l'eretico Giacomo di Cahors (= Giovanni XXII), decretando che i beni dell'eremo, insieme con quelli di Valdicastro, formino la mensa vescovile e che il nuovo vescovo assuma il titolo di priore generale della Congregazione Silvestrina e di abate di Valdicastro. Durante il priorato di Ugo da Sassoferrato (1331-1349) alcuni monaci di Montefano sono chiamati dai pontefici a riformare monasteri e abbazie in decadenza economica e spirituale nell'Italia centrale.

Il 1348 è uno degli anni più funesti per l'Italia. Tutte le regioni della penisola sono colpite dalla terribile peste nera, che miete numerose vittime anche fra i monaci. I documenti fabrianesi, riferendosi al 1348, parlano di anno di «grande mortalità». La falcidia dei monaci, l'instabilità politica dello Stato pontificio, le calamità naturali, le carestie, le ricorrenti crisi in agricoltura, provocano, nella seconda metà del Trecento, la decadenza spirituale ed economica di Montefano. Inoltre, in tale periodo, i priori dell'eremo devono affrontare le tendenze secessionistiche delle comunità silvestrine della Toscana e il problema sempre più spinoso degli «apostati», cioè dei monaci che passano ad altri ordini religiosi, soprattutto a causa delle divisioni interne nella Congregazione Silvestrina.
A cavallo del Tre-Quattrocento, le lotte di fazione tra i partigiani e i nemici dei Chiavelli provocano la distruzione di numerosi monasteri e chiese del contado fabrianese e l'inurbamento di molte comunità. Montefano, reso insicuro dalla libera circolazione delle bande dei fuorusciti, responsabili dell'incendio doloso ricordato dallo storico silvestrino Giovanni Matteo Feliziani († 1718) e secondo la tradizione avvenuto nel 1390, viene abbandonato dalla maggior parte dei monaci, che si trasferiscono nel monastero di S. Benedetto in Fabriano. Nel cenobio montano, dove numerosi accorrono i fedeli per venerare i resti mortali di S. Silvestro ivi conservati, rimane una piccola comunità, che si assottiglia sempre di più (cinque monaci nel 1430, uno nel 1461). Anche le strutture materiali, prive della necessaria manutenzione, subiscono l'usura del tempo e diventano fatiscenti.

Il principale artefice dell'opera di restauro è il priore generale Stefano di Antonio da Castelletta (1439-1471). Allo scopo egli ottiene da Eugenio IV, nel 1443, l'incorporazione all'Ordine dell'abbazia di S. Biagio in Caprile con tutti i beni. Inoltre Callisto III, che da chierico ha visitato Montefano, concede a Stefano, nel 1456, le proprietà già dei Chiavelli (signori di Fabriano uccisi da una congiura nel 1435), situate in località Precicchie, e i proventi di una tassa (un bolognino per ogni ducato) su tutti i contratti del comune. Infine Pio II (nel 1461) e Paolo II (nel 1465) elargiscono numerose indulgenze ai fedeli che visitino la chiesa di Montefano e contribuiscano a ripararla con il proprio lavoro o con offerte. In tal modo il monastero viene ripristinato e riacquista prestigio spirituale, anche se nella seconda metà del secolo XV e per tutto il successivo vi dimora una piccola comunità (da due a quattro monaci).
Migliorie e ampliamenti interessano l'intero cenobio nei secoli XVII e XVIII: a tale periodo risalgono le forme attuali della chiesa e la maggior parte dei vani del complesso (fra l'altro sono costruite le tre stanze sopra la navata della chiesa, dove oggi si trovano la biblioteca storica e l'archivio generale della Congregazione Silvestrina), mentre è dei nostri giorni l'imponente mole del fabbricato sovrastante il monastero (la prima pietra è collocata il 10 giugno 1957).
Del nucleo originario dell'eremo sono rimasti pochi vani: l'oratorio S. Benedetto con a lato Fonte Vembrici e la cripta S. Silvestro.

Nel Sei-Settecento la comunità si attesta sugli 8-10 monaci e Montefano diviene abbazia e sede unica di noviziato per tutta la Congregazione Silvestrina. Nel 1629 la tomba del fondatore, che nel 1532 è stata sistemata sopra l'altare maggiore dal priore generale Antonio Favorino da Camerino, è trasferita nella parete di fondo dell'attuale abside; nel 1660, tuttavia, ad evitare i pericoli dell'umidità, le sacre spoglie di Silvestro sono racchiuse in un'urna di marmo, ricollocata sopra l'altare maggiore. Nel 1968 il precedente sarcofago viene sostituito con l'attuale urna in ottone e cristallo, che nel 1980 è posta sotto la mensa dell'altare maggiore.
Nel 1810 l'eremo subisce la soppressione napoleonica: a custodia delle spoglie del fondatore (sepolto nella chiesa di Montefano nel 1267, anno della morte) rimane il vicario generale della Congregazione Gioacchino Baroncini. Ripristinato nel 1820, nel capitolo generale di quattro anni dopo vi è assegnata una comunità di 5 monaci (3 sacerdoti e 2 conversi).

Nella soppressione preunitaria del 1861 Montefano viene temporaneamente risparmiato in seguito all'azione del monaco Emiliano Miliani, recatosi personalmente a Torino dal re Vittorio Emanuele II con una supplica suffragata da una raccolta di firme di cittadini di Fabriano, ma nel 1866 anche Montefano viene soppresso: a custodia dell'eremo rimangono di nascosto il monaco Luigi Bartoletti e l'oblato Lorenzo Coccia. Nel 1873 l'eremo è messo in vendita per asta pubblica in Ancona: i monaci per mezzo di Tobia Lorenzetti, fratello dell'ex abate di Montefano Lorenzo Benedetto Lorenzetti, si aggiudicano il lotto per lire 6.250 lire. A reperire la somma contribuiscono non solo i monaci silvestrini d'Italia, ma anche quelli del Ceylon (Sri Lanka). In una seconda asta del 1876, lo stesso Tobia acquista per il monastero alcuni appezzamenti di bosco sul Montefano e della terra in Attiggio per lire 17.500. L'anno dopo Tobia muore all'improvviso senza testamento: il figlio Angelo pretende un compenso di lire 3.000 per firmare l'atto di cessione dell'eremo e dei beni annessi a favore dello zio don Lorenzo. La famiglia monastica (4 sacerdoti e 1 converso), assegnata a Montefano dal capitolo generale del 1872, si ricostituisce nel 1875. Cinque anni dopo viene riaperto il noviziato. Nel 1882 la comunità risulta composta di 4 sacerdoti, 3 conversi e 3 novizi; nel 1891 è segnalata anche la presenza di 3 probandi o aspiranti alla vita monastica; a Montefano è stato quindi aperto un piccolo seminario. All'inizio del Novecento viene organizzato, per i pochi alunni, un corso ginnasiale «secondo l'indirizzo delle scuole pubbliche».

Dopo la prima guerra mondiale, che sconvolge la comunità, in quanto la maggior parte dei monaci deve compiere il servizio militare, l'eremo diventa il centro di rianimazione spirituale della Congregazione Silvestrina in Italia.
Montefano possiede un laboratorio di restauro del libro; pratica l'ospitalità; organizza convegni culturali; cura la collana Bibliotheca Montisfani, comprendente studi sulla storia e la spiritualità silvestrina; dirige la rivista «Inter Fratres», semestrale bilingue (italiano-inglese) della Congregazione; pubblica il bollettino quadrimestrale «Monte Fano».
Lo stemma del monastero è diviso in due parti: a sinistra è raffigurato l'emblema della nobile famiglia dei Guzzolini, alla quale apparteneva S. Silvestro (leone d'oro rampante a lato di una croce in campo azzurro); a destra quello della Congregazione Silvestrina: tre montagne verdi in campo bianco, quella al centro (più alta) sormontata da un pastorale d'oro, tra due rami di rose nascenti dalle cime inferiori.

Presentazione