Il fondatore della Congregazione Silvestrina dell'Ordine di San Benedetto è san Silvestro abate, nato a Osimo nelle Marche verso il 1177 e morto «quasi nonagenario» nel monastero di Montefano presso Fabriano il 26 novembre 1267. Tra il 1274 e il 1282 il monaco Andrea di Giacomo da Fabriano - che sarà il quarto priore generale (1298-1325) - scrisse la Vita sanctisssimi Silvestri confessoris et mirifici heremite attingendo a testimoni oculari e probabilmente anche alla propria conoscenza diretta del fondatore. In particolare per le notizie sulla fanciullezza e l'adolescenza del santo, il biografo è debitore al vescovo di Osimo Benvenuto Scotivoli (1264-1282), «compagno di studi» di Silvestro.
Silvestro apparteneva a una famiglia nobile, che la tradizione individua in quella dei Guzzolini, di forti tradizioni ghibelline. Il padre Gislerio, giurisperito, lo inviò, «ancora adolescente, a Bologna e a Padova con l'ordine di dedicarsi allo studio della scienza legale». Ma dopo breve tempo Silvestro, «assetato della conoscenza delle sacre lettere», abbandonò «un tale studio» per applicarsi a quello della «teologia» e della «sacra scrittura». Al ritorno in patria Silvestro dovette sostenere l'ira del padre, che «per dieci anni di seguito» privò il figlio «della sua conversazione» (Vita, cap. 1).
In seguito Silvestro, «per i meriti della sua vita», fu assunto tra i canonici della chiesa cattedrale della città. Egli attese con impegno al proprio ufficio, dedicandosi «alla preghiera e alla predicazione: per questo era amabile e caro a Dio e al popolo» (Vita, cap. 1). Il biografo non dà alcuna informazione circa il sacerdozio di Silvestro, mentre la tradizione posteriore, a partire dal secolo XVII, è unanime nell'attribuire al fondatore la qualifica di «sacerdote». La Vita ci informa che il canonico Silvestro, acceso «da zelo di carità», non esitò neppure a riprendere il suo vescovo, «che conduceva una vita non proprio esemplare». La Vita non menziona il nome del vescovo, tuttavia si tratta certamente di Sinibaldo I, che resse la cattedra di Osimo dal 1218 al 1239. Il vescovo, «vedendo inoltre che la predicazione» di Silvestri «era accolta dal popolo più favorevolmente della sua», cercò ogni pretesto pur di privarlo del beneficio canonicale (Vita, cap. 1).
Nel frattempo sopraggiunse una circostanza che fece decidere Silvestro circa il proprio avvenire. Un giorno, al termine delle esequie di un defunto, allorché i canonici sollevarono la pietra tombale della fossa comune per la reposizione, trovarono il cadavere non ancora ridotto in polvere di un parente di Silvestro, noto per la sua avvenenza e morto in giovane età. Il pietoso spettacolo turbò profondamente Silvestro, che pensò tra sé: «Quello che lui era, io lo sono; quello che lui è, io lo sarò». Prese, quindi, la decisione di «mutare in meglio la sua vita». Mentre, infatti, «se ne tornava in camera, gli venne in mente quel testo del Signore: 'Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua'. E capì che veniva detto proprio per lui» (Vita, cap. 2).
Verso il 1227 Silvestro, stanco dell'opposizione del vescovo e considerando «la vanità e brevità della vita umana», lasciò Osimo e si ritirò a vita solitaria fra i dirupi della gola della Rossa presso Serra San Quirico (AN). Il luogo, che dista circa km 17 da Fabriano, era di proprietà del nobile Corrado, che appena vide l'eremita lo riconobbe, «giacché l'aveva incontrato nella curia del marchese impegnato a difendere energicamente i diritti» della Chiesa di Osimo. Silvestro dimorò in tre diverse grotte: la terza va sicuramente identificata con Grottafucile, dove l'uomo di Dio condusse vita di aspra penitenza e di assidua preghiera, cibandosi spesso soltanto di erbe crude (Vita, cap. 3).
Silvestro non rimase a lungo sconosciuto nella solitudine: gli fecero visita membri di varie comunità religiose, i quali ammirati delle sue virtù cercarono di «trarlo al loro Ordine». L'eremita rifiutò tali «inviti», ma «da quel momento» cominciò «a pensare seriamente quale forma di vita religiosa» gli convenisse «abbracciare». Dopo matura riflessione Silvestro scelse la Regola di san Benedetto da Norcia, cioè una delle regole canonicamente approvate prima del concilio Lateranense IV del 1215, che nella costituzione 13 aveva proibito la fondazione di «nuovi Ordini». Silvestro fu rivestito dell'abito monastico dal monaco Pietro Magone: «così, toltosi il vecchio vestito clericale e ricevuto l'umile abito monacale, si sottomise umilmente al giogo della regola monastica e come atleta di Dio entrò nel campo di battaglia per combattervi con perseveranza» (Vita, cap. 4). La Vita non specifica quando e dove ciò avvenne: probabilmente in una delle abbazie del territorio.
Nel 1228, «due religiosi prudenti e saggi» (si tratta dei domenicani fra Riccardo e fra Bonaparte), inviati dal pontefice Gregorio IX «nella Marca per una visita canonica al clero», si recarono anche da Silvestro, esortandolo a non «vivere da solo» in quel luogo solitario. L'uomo di Dio accettò il suggerimento e accolse a Grottafucile il primo discepolo, Filippo da Recanati, inviatogli dai due visitatori (Vita, cap. 5). Altri, desiderosi di abbracciare l'ideale anacoretico, seguirono l'esempio di Filippo e si misero sotto la guida spirituale dell'uomo di Dio, vivendo in grotte separate. Successivamente Silvestro costruì a Grottafucile un piccolo eremo in onore della beata Vergine Maria (il più antico titolo attribuito al fondatore negli atti notarili è quello di «priore dell'eremo di Grottafucile»). Tuttavia, poiché il luogo era angusto e impervio e inadatto ad accogliere il crescente numero dei discepoli, Silvestro incominciò «a costruire dei monasteri», scegliendo per lo più «luoghi solitari a preferenza delle città» (Vita, cap. 6).
Il secondo «luogo» fondato da Silvestro è Montefano. Il 1° giugno 1231 alcuni uomini di Fabriano donarono a Silvestro sei staia di terreno boschivo (circa mq. 2.640) sulle pendici del monte Fano, intorno a Fonte Vembrici, una sorgente d'acqua tuttora esistente, dove l'uomo di Dio costruì un eremo con oratorio dedicato a San Benedetto da Norcia. L'attuale titolo di «San Silvestro» sostituì il precedente a partire dalla metà del Cinquecento. Fra i primi discepoli accolti a Montefano ci furono Giovanni dal Bastone da Paterno di Fabriano, Giovanni dalla Cella o Solitario, Giuseppe degli Atti da Serra San Quirico, Giacomo da Attiggio, tutti in seguito venerati con il titolo di «beati».
La scelta di Montefano da parte di Silvestro come centro di irradiazione della nuova famiglia monastica, è codificata dalle più antiche costituzioni silvestrine, promulgate all'inizio del Trecento dal quarto priore generale Andrea di Giacomo da Fabriano, dove il legislatore afferma espressamente: «quod monasterium [= di San Benedetto di Montefano] caput et matrem recongnoscimus Ordinis universi». Nei testi legislativi successivi (1610, 1618 e 1690) Montefano è ancora riconosciuto «capo e madre» di tutta l'Ordine, anche se era cessata la preminenza giuridica dell'eremo. Oggi tutti i monaci silvestrini sparsi nei cinque continenti riconoscono in Montefano la Casa Madre della Congregazione, il centro spirituale e il punto di riferimento per un ricupero dell'identità e dell'ideale delle origini, incarnato dal fondatore Silvestro.
Il 27 giugno 1248 la nuova famiglia religiosa ottenne il riconoscimento canonico dal pontefice Innocenzo IV sotto la denominazione di «Ordine di San Benedetto di Montefano», che risulta costituito dall'eremo di Montefano (diocesi di Camerino) con le «chiese» dipendenti di Santa Maria di Grottafucile (diocesi di Camerino), di San Marco di Ripalta presso Rocca Contrada (oggi Arcevia) (diocesi di Senigallia) e di San Bonfilio di Cingoli (diocesi di Osimo). L'originale dell'importante documento, noto come «privilegio di conferma», non è pervenuto: nell'archivio storico della Congregazione Silvestrina è conservata una copia autentica esemplata sull'originale il 3 aprile 1251 a Cingoli, «per ordine di fra Silvestro, priore dell'eremo di Montefano». Dopo il 1248 Silvestro fondò i monasteri di San Bartolo della Castagna presso Serra San Quirico, di San Pietro del Monte presso Osimo, dei Santi Marco e Lucia di Sambuco presso Valfabbrica (PG), di San Tommaso di Jesi, di San Bartolo(meo) presso Rocca Contrada (oggi Arcevia), di San Giacomo di Settimiano di Roma, di San Benedetto di Perugia e di San Giovanni di Sassoferrato.
Giunto in «età avanzata, intorno ai novant'anni, si mise a letto con febbre ardente. Radunati allora i discepoli, li esortò a perseverare in una vita onesta e santa e nelle osservanze monastiche: difatti molti di loro, prima e dopo la sua morte, raggiunsero gloriosamente i vertici della virtù e dei miracoli. Aggravandosi il male, il santo uomo si premunì dei sacramenti cattolici e raccomandando lo spirito al Signore concluse in pace la sua vita piena di giorni e di opere buone. E così quella felicissima anima, liberata ormai da ogni sofferenza del corpo, se ne volò alla gloria del cielo con gli spiriti beati» (Vita, cap. 33). Era il 26 novembre 1267 (Vita, cap. 46). Silvestro, che da «priore di Grottafucile» era diventato «priore generale dell'eremo e dell'Ordine di Montefano», lasciava 12 monasteri (9 nelle nelle Marche, 2 in Umbria e 1 nel Lazio) e circa 120 monaci.
I devoti accorsero da ogni parte per venerare «il corpo del Santo». Dopo tre giorni le spoglie di Silvestro furono riposte nella chiesa di Montefano in una cassa di cipresso. Nel 1532 il priore generale Antonio Favorino collocò la cassa in un'urna di marmo e la pose sopra il nuovo altare maggiore che aveva costruito discosto dal muro, mentre il precedente era addossato alla parete di fondo dell'abside. Tra il 1610 e il 1613 nella chiesa fu edificato il cosiddetto «cappellone» per dare maggiore rilievo alle reliquie del fondatore. Nel 1629 l'abate generale Clemente Tosi trasferì l'altare maggiore con l'urna di marmo nella parete di fondo del «cappellone» (attuale abside).
Nel 1660 l'abate generale Ferdinando Gattovecchi, a evitare i pericoli dell'umidità, fece distaccare dal muro l'altare maggiore e vi fece collocare sopra una nuova urna di marmo, al cui interno ripose le ossa del Santo in una nuova cassa di cipresso (la cassa primitiva fu murata sotto la mensa dell'altare).
In occasione del VII centenario della morte di san Silvestro (1267-1967), l'urna di marmo venne sostituita con un'urna di bronzo (dorato nella parte figurativa e argentato nell'ossatura e nella parte architettonica) e cristallo, fatta costruire dall'abate generale Pio Federici e benedetta dal cardinale Fernando Cento il 15 settembre 1968. Al suo interno è stato collocato un sarcofago di bronzo argentato con i resti mortali del fondatore. Dalla ricognizione, eseguita l'11 luglio 1968, risulta che Silvestro era di piccola statura (m. 1,60) e di esile corporatura: la Vita, infatti, riferendosi all'aspetto fisico dell'uomo di Dio, parla di «corpicciolo» (capp. 10, 25, 37). Nel 1978 la nuova urna fu collocata sotto la mensa dell'altare maggiore coram populo, che - dopo lo smantellamento dell'altare seicentesco - era stato trasferito in avanti sotto il transetto (attualmente l'altare si trova al centro della cupola fra le due cappelle laterali). L'antica arca di cipresso è conservata nella cappella laterale destra della chiesa. Nel 2015 l'altare del 1660 fu ricostituito nell'Oratorio San Silvestro, contiguo all'Oratorio San Benedetto (chiesa inferiore) e vi fu collocata sopra l'urna di marmo che aveva custodito le sacre spoglie del Fondatore dal 1660 al 1968.