Monaci Benedettini Silvestrini

San Silvestro in Montefano, Fabriano

Le lunette dei chiostri

Le «lunette» che ornano le pareti dei chiostri del monastero sono 24: quattro decorano una parete del chiostro minore (sono del 1760 di autore sconosciuto); le altre venti si trovano lungo le quattro pareti del chiostro maggiore: sono opera di Antonio Ungarini (Ungherini) († 1771), pittore di Fabriano, che le ha eseguite negli anni 1740-1742 su commissione dell'abate del monastero Camillo Schimberni († 1765).

Le «lunette» rappresentano episodi della vita di san Silvestro abate, fondatore della Congregazione Silvestrina, ricavati dalla Vita Silvestri, scritta dal monaco Andrea di Giacomo da Fabriano tra il 1274 e il 1282, quindi pochi anni dopo la morte del fondatore, avvenuta a Montefano il 26 novembre 1267.

Chiostro minore

Silvestro nasce a Osimo nelle Marche (Vita Silvestri, cap. 1) intorno al 1177. Nell'affresco la madre è distesa sul letto, mentre le ancelle si preparano a lavare il neonato, davanti al fuoco acceso; una delle due ancelle tocca l’acqua per valutarne la temperatura.

Silvestro difende la tesi di dottorato in teologia all'Università di Bologna davanti a una commissione di 6 professori. Silvestro era stato inviato a Bologna dal padre Gislerio per studiare «diritto», ma egli aveva abbandonato lo studio della scienza legale per dedicarsi a quello della teologia e della sacra scrittura (Vita Silvestri, cap. 1).

Silvestro è ordinato sacerdote dal vescovo di Osimo Sinibaldo (1218-1239). La Vita non dà informazioni circa il sacerdozio di Silvestro, mentre a partire dall'inizio del secolo XVII la tradizione è unanime nell'attribuire al fondatore la qualifica di «sacerdote».

Dopo il ritorno da Bologna, Silvestro «per i meriti della sua vita fu assunto tra i canonici della chiesa cattedrale della città di Osimo» (Vita Silvestri, cap. 1). Nell'affresco si vede il vescovo Sinibaldo che gli impone la stola.

Chiostro maggiore

Silvestro lascia Osimo all’età di circa 50 anni (mentre nell'affresco ha un aspetto giovanile), cioè intorno al 1227. Giunto a Serra San Quirico «presso il castello di un nobile di nome Corrado», Silvestro «rimanda indietro con i cavalli il pio uomo Andrea» (Vita Silvestri, cap. 2), che lo avevano accompagnato con il figlio. L’indice della mano destra di Silvestro è alzato verso il cielo, per indicare che d'ora in poi si dedicherà completamente a Dio.

Dopo alcuni giorni Silvestro, rivestito dell'abito clericale, viene trovato dai servi del nobile Corrado, che si danno premura «di riferire al loro signore ciò che avevano scoperto» (Vita Silvestri, cap. 2).

Corrado si reca da Silvestro e, conosciuto il motivo della sua presenza, lo conduce «in una grotta dove giornalmente gli mandava il necessario per vivere» (Vita Silvestri, cap. 3).

Poiché «in quella grotta gocciolava acqua dall'alto continuamente», un sacerdote conduce Silvestro in un’altra grotta «alquanto più lontana» (Vita Silvestri, cap. 3): si tratta di Grottafucile, dove Silvestro rimane per circa tre anni, conducendo vita di aspra penitenza.

La fama di santità attira ben presto a Grottafucile «un gran numero di religiosi e di fedeli». «Molti di quei religiosi cercavano di trarlo al loro Ordine» (nella «lunetta» si riconosce un domenicano, un camaldolese...), ma «Silvestro umilmente rifiutava i loro inviti» (Vita Silvestri, cap. 4).

Un giorno, mentre era in estasi, si presenta a Silvestro «un venerabile vegliardo»: è San Benedetto in compagnia di due monaci, che lo esorta a scegliere «la sua Regola e il suo abito» (Vita Silvestri, cap. 4). Silvestro accetta con gioia.

 

Nel 1231 Silvestro, vestito da monaco, lascia Grottafucile e sale sul Monte Fano presso Fabriano, luogo solitario e selvaggio, dal quale scaccia «una moltitudine di demoni» (Vita Silvestri, cap. 6). Sul posto, infatti, c'erano ancora i resti di un tempio pagano.

Tre abitanti di Fabriano, venuti a fargli visita, trovano Silvestro in compagnia di un lupo prostrato ai suoi piedi. Silvestro ordina al lupo di allontanarsi per non impaurire i visitatori (Vita Silvestri, cap. 7).

 

Silvestro inizia ad accogliere quanti desiderano mettersi sotto la sua guida spirituale. Fra costoro c’è «un giovanetto di Fabriano di nome Servolo», ma i parenti si recano a Montefano per riportarlo in famiglia. Uno dei parenti percuote «con uno schiaffo il servo di Dio» e trascina «con violenza» Servolo «fuori del monastero, ma la mano sacrilega viene colpita dalla lebbra (Vita Silvestri, cap. 11).

Silvestro, con il segno della croce, allontana il demonio che impedisce ai monaci e ai «secolari», venuti in loro aiuto, di trasportare una pietra che doveva servire per la mensa dell'altare (Vita Silvestri, cap. 9).

Il parente di Servolo che aveva colpito Silvestro con uno schiaffo, visti inutili «tutti i rimedi cercati dai medici» per guarire la mano lebbrosa, torna «con una fune legata al collo dal servo di Dio», che lo benedice e la lebbra scompare (Vita Silvestri, cap. 11).

Silvestro spesso è in viaggio per fondare nuovi monasteri. Un giorno, mentre si trova a Gualdo Tadino in Umbria, una donna disperata si getta ai suoi piedi chiedendo la guarigione del figlio colpito da una malattia incurabile. Silvestro invoca la «divina clemenza» e il fanciullo infermo viene risanato (Vita Silvestri, cap. 13).

Silvestro ammonisce alcuni nobili crudeli del territorio di Serra San Quirico a cambiare vita per non incorrere nel castigo di Dio. Costoro respingono i suoi consigli e dopo tre giorni «per disposizione divina vengono miseramente uccisi da un loro nipote» (Vita Silvestri, cap. 22).

Con profonda umiltà Silvestro chiede all’anziano monaco Simone, illetterato e quasi cieco, di spiegargli un «passo oscuro» del libro del profeta Geremia (Vita Silvestri, cap. 18).

Silvestro guarisce un cieco nato, che era stato condotto al monastero di Montefano. Al miracolo è presente anche «il santo uomo fra Giovanni dal Bastone» (Vita Silvestri, cap. 28).

 

Durante la costruzione del monastero di Montefano, Silvestro allunga miracolosamente una trave, che il capomastro aveva tagliata più del dovuto, non tenendo conto del consiglio dell'uomo di Dio (Vita Silvestri, cap. 24).

 

Silvestro spegne un incendio sviluppatosi a Fabriano nella casa di Rinaldo di Rigozio, gettando nel fuoco un pane d'orzo benedetto (Vita Silvestri, cap. 15).

Nel monastero di San Giacomo in Settimiano di Roma Silvestro libera una donna «posseduta dal demonio da lungo tempo» (Vita Silvestri, cap. 30).

A Grottafucile Silvestro cambia l’acqua in vino per gli operai «assetati e accaldati» che stavano costruendo un pozzo (Vita Silvestri, cap. 31).

Il monaco Giacomo, che si trova in Attiggio - un villaggio ai piedi del Monte Fano - alla morte di Silvestro (26 novembre 1267) vede «tutto il monastero e il monte risplendenti di lumi e come di fiaccole» (Vita Silvestri, cap. 35).